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A piedi attraverso l’Italia, l’Austria, la Repubblica Ceca e la Polonia per parlare di memoria…

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MEMORIA ovvero MARTEDI’ 1 MARZO

Ieri una classe quinta elementare ci ha accolto a Piacenza; una trentina di bambine e bambini con le loro maestre ci sono venuti incontro sul ponte sul Po, appena ricostruito dopo l’alluvione di alcuni anni fa, e, incuranti del freddo e della pioggia, ci hanno festosamente accompagnati in stazione per concludere la nostra tappa. Poi ci hanno ospitato nella loro scuola e abbiamo cominciato a fare discorsi seri, seri come sanno essere i bambini quando si parla di cose che sentono importanti e che vogliono capire: abbiamo raccontato del viaggio, risposto alle loro domande sul come e soprattutto sul perché.

1 marzoE allora il problema si è posto in maniera evidente: come si può parlare di memoria a dei bambini o a dei ragazzi in modo sincero e non retorico e qual è il modo per cui fatti avvenuti in un passato a loro lontano possano essere non solo comprensibili ma soprattutto metabolizzabili?

Il punto di inizio è forse intenderci e comprendere insieme che cos’è la memoria. Proviamo a partire da un piccolo gioco di associazioni di idee in libertà:  ”al mio via, pensando alla parola memoria, dite la prima cosa che vi passa per la mente. Tre, due, uno … via!”

Risposte: pensieri, ricordi, computer, poesie, fotografie, tristezza, campi di concentramento, tramonto, notte, ricordare, scuola,…

Scegliamo dal mucchio la parola “ricordare”.

Il ricordare è l’azione che produce il ricordo, dunque riguarda strettamente la memoria: ricordare richiede energia, fatica e tempo…

Per capirlo facciamo un altro gioco: “ognuno per sé, scelga un proprio ricordo e, con calma, provi a riviverlo, facendo emergere dal passato le persone, i luoghi, i colori, gli odori, le immagini, le azioni e le emozioni”.

I bambini ci provano, si applicano, i loro volti tradiscono gli sforzi di concentrazione, le fronti corrucciate e poi… le mandibole si rilassano, le labbra accennano sorrisi, il ricordo affiora con tutta la sua forza.

Questo è memoria, qualcosa che con fatica fai riemergere dal profondo di te e riassapori, rivivendolo nella sua interezza emozionale; sembra dunque un qualcosa di ben diverso dagli immaginari istituzionalizzati legati al 27 gennaio, Giorno della Memoria. Non basta conoscere la Storia per poterla fare propria, la conoscenza è come dire solo il primo passo di un percorso che richiede partecipazione emotiva e condivisione.

Sembra una domanda superflua, ma forse è necessario chiederci perché abbiamo bisogno di memoria, e più specificatamente perché dobbiamo ricordare il genocidio nazista.

La risposta arriva immediata alla bocca, prima ancora che al cervello, quante volte ci è capitato di sentirla: noi dobbiamo ricordare perché ciò che è stato non accada mai più!

Credo che, aldilà delle buone intenzioni, sia per un verso un’affermazione vuota e retorica e per l’altro drammaticamente assolutoria delle nostre responsabilità nei confronti della Storia e del Presente.

In questi giorni parlando con tanti ragazzi ci siamo formati un pensiero articolato che trae origine dalle considerazioni sulle motivazioni del nostro cammino: in questo viaggio noi ricordiamo i ventisei ebrei catturati in provincia i Cuneo, un pezzo di Storia che ci appartiene e che in qualche modo pesa sulle nostre spalle, innanzitutto perché la responsabilità di quanto avvenuto ricade interamente su noi italiani e poi perché settant’anni fa i nostri genitori e i genitori dei nostri genitori, i nostri nonni, non hanno fatto nulla perché ciò non avvenisse, sono stati zitti, si sono distratti, o peggio ancora hanno fatto finta che non stesse succedendo niente; se qualcuno si fosse opposto, se qualcuno avesse dichiarato il proprio dissenso, forse la storia avrebbe potuto essere diversa.

Con questi fatti dobbiamo in qualche modo rapportarci, perché noi siamo i figli di quella Storia e non possiamo non tenere conto del nostro passato.

1 marzo

E allora, una risposta possibile alla domanda “perché dobbiamo ricordare il genocidio nazista” credo possa trovarsi nella parola indignazione: perché come ci indigniamo per quello che è stato, dobbiamo concederci la possibilità di indignarci quando oggi, nel nostro presente, troviamo qualcosa che non ci piace, che va contro i valori in cui crediamo; dunque ricordare per guardare con occhio critico ciò che avviene intorno noi, questa già sarebbe una grande conquista.

I nostri passi da Piacenza, Busseto, ci portano a Cortemaggiore, e ci troviamo a percorrere un altro pezzo della nostra storia italiana: nel 1949, qui fu trovato il petrolio. In realtà non era un grande giacimento, anzi era una piccola riserva assai poco significativa rispetto al fabbisogno energetico nazionale, ma l’Italia distrutta dalla guerra si illuse di aver trovato in quel giacimento una fonte di riscossa e una speranza di riscatto; sotto la guida di Enrico Mattei, il petrolio italiano sarebbe stato presto trasformato nella “Supercortemaggiore, la potente benzina italiana“.

Enrico Mattei morirà dieci anni dopo in un misterioso incidente aereo… ma questa è ancora un’altra storia.

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