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A piedi attraverso l’Italia, l’Austria, la Repubblica Ceca e la Polonia per parlare di memoria…

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PACE ovvero SABATO 19 MARZO

Partiamo da Bolzano alla volta di Chiusa, attraversando la città per agganciare la lunga pista ciclabile che sale fino al Brennero: siamo circa una dozzina e ci muoviamo di buon passo in questa giornata che sa di primavera. C’è un clima allegro e frizzante, sembriamo un gruppo in gita, ma si sta bene: si chiacchiera, si ride, si formano curiose coppie di camminatori che condividono un tratto di strada e si raccontano pezzi di vita, storie, aneddoti, ricette, barzellette,…questo nostro viaggio è una straordinaria occasione per incontrare persone e tessere relazioni.

19 marzoÈ dunque in questo stato d’animo di serena spensieratezza che provo ad imbarcarmi ad affrontare la parola di oggi: Pace. Me l’ha affidata mio figlio Isacco, il più giovane dei tre. Pace è una parola difficile, densa e pesante, perché esprime un concetto antico che affonda profondamente le sue radici agli albori dell’umanità: implica un altro da noi, con cui condividere un rapporto di armonia e di assenza di conflitto. E’ un valore universale in grado di superare barriere sociali, religiose, ideologiche; sembrerebbe una realtà univoca e assoluta, eppure basta guardarci intorno per comprendere quante infinite sfumature, variazioni e possibili coniugazioni esistono di questa condizione relazionale.

Se vado indietro coi ricordi ai tempi del liceo, riaffiorano dai meandri della mia memoria le parole di Tacito “Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant…” (dove fanno il deserto la chiamano pace). E’ una frase che pronuncia un capo britanno per infondere coraggio ai suoi uomini prima della battaglia finale contro i Romani, sostenendo che è meglio morire piuttosto che sottomettersi alle regole della Pax romana, che nega qualsiasi libertà.

Il termine pace deriva, attraverso il latino, dal sanscrito pak, che vuol dire fissare, pattuire, legare, unire, saldare: la Storia è talmente ricca di esempi, di trattati di pace che fissano, pattuiscono, legano, uniscono, saldano e che a un certo punto vengono violati, per essere poi riscritti e violati nuovamente che è impossibile tenerne un conto. Sembra quasi che non si possa concepirla come un valore assoluto, piuttosto come un fatto temporaneo di assenza di guerra, quasi che la pace sia una condizione necessaria per concepire e preparare la guerra.

Questo è accaduto dalla notte dei tempi e continua ad avvenire adesso nonostante la nostra civiltà, l’Italia in testa, abbia formalmente intrapreso una strada che promuove la pace come condizione necessaria della relazione tra i popoli. E’ avvenuto recentemente in Irak, in Afganistan, in Somalia, in Bosnia…e quello che si sta verificando oggi in Libia mi sembra, a conti fatti, che stia avviando un processo che inesorabilmente porta al conflitto armato,

Sembra che a volte non si vogliano cercare né vedere strade alternative; invece sento che noi, cominciando dal nostro piccolo, dovremmo trovare la forza di respingere la violenza e la guerra come strumenti per la soluzione dei conflitti, cercando invece di costruire e mantenere la pace praticando la giustizia con noi stessi e con gli altri, perché è difficile immaginare che esista la pace, dove non c’è la giustizia.

Attuare strategie non violente, opporsi ai soprusi senza ricorrere all’uso della forza appare assurdo e inutile. Eppure basta pensare a cosa è stato in grado di fare Gandhi in India, per comprendere che possono esistere forme di opposizione e di resistenza efficaci, che non ricorrono all’uso delle armi. Un altro esempio, sicuramente meno conosciuto, ma molto significativo, è avvenuto in Danimarca, durante l’occupazione nazista: quando gli occupanti proclamarono le leggi razziali, tutto il popolo danese si oppose; quando ordinarono di scrivere “Jude” sulle vetrine dei negozi ebrei, tutti i negozianti – anche i non ebrei – lo scrissero; quando imposero la stella gialla agli ebrei, tutta la popolazione, re compreso, cucì una stella sui propri vestiti. Il risultato straordinario che il popolo danese ottenne, fu che la Danimarca ebbe la percentuale di ebrei deportati nei campi di concentramento più bassa tra tutti gli stati che subirono l’occupazione nazista.

Alternative dunque si possono trovare, basterebbe volerlo, ma qui entrano in gioco interessi e poteri economici e politici che volano molto in alto, sopra le nostre teste, e noi poveri mortali ne paghiamo le conseguenze. Mi torna in mente una poesia di Bertolt Brecht:

La guerra che verrà non è la prima.

Prima ci sono state altre guerre.

Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti.

Fra i vinti la povera gente faceva la fame.

Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente.

19 bisIntanto raggiungiamo Chiusa e riceviamo un’accoglienza straordinaria: c’è la comunità italiana ad attenderci all’arrivo, ci sono le associazioni degli Alpini e dei Carabinieri ed anche il CAI; hanno imbandito una grande tavolata per festeggiarci, poi ci accompagnano alla scuola dove hanno attrezzato le aule con i letti, il tempo di una doccia e ci chiamano per la cena; è una serata piena di calore e di allegria.

Chiusa è un piccolo comune di circa cinquemila abitanti, la popolazione alto atesina di lingua tedesca rappresenta la stragrande maggioranza, gli italiani sono meno del dieci per cento. C’è un grande squilibrio di forze, eppure al nostro sguardo superficiale queste due culture così diverse sembrano convivere e cooperare in modo sinergico: traspare una consapevolezza di chi si è e del proprio ruolo, che si fonda sul rispetto e sull’accettazione reciproci. Se quello che ci sembra di vedere corrisponde al vero, credo che qui, in questo piccolo paese, abbiano trovato gli ingredienti giusti per costruire una cultura di collaborazione e di pace.

L’articolo 11 della Costituzione italiana recita:

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

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